Ci sono alcuni personaggi emblematici della corsa, il cui ricordo crea immediatamente profonde emozioni. Ci sono corridori puri che sono entrati nella leggenda e nel mito e che accendono l’immaginario degli amanti del gesto puro della corsa. Emil Zatopek è appunto uno di questi personaggi-emblema che – per la sua resistenza – venne definito la “locomotiva umana” o anche “uomo-cavallo” ma non semplicemte un cavallo da tiro ma un vero “purosangue”.
Di lui si diceva che si allenasse, indossando gli scarponi militari per migliorare la forza della spinta e che corresse per oltre mille ore all’anno, (con una media di circa 30 km al giorno). Dal sito di RaiSport: “Il vero segreto di Zatopek si incarna nella capacità di soffrire, esercitata con allenamenti forsennati, eseguiti su sentieri accidentati con pesanti scarponi militari ai piedi”.
Anche per questo è una figura mitica quella che scomparve definitamente dalla scena del mondo alla fine di novembre del 2000.
E’ uscito in Italia (per i tipi di Adelphi) un libro che ripercorre la vicenda umana del grande fondista cecoslovacco, che dall’autore viene chiamato solo per nome, Emil, e vivisezionato attraverso il suo gesto atletico: correre, appunto (il titolo del libro in lingua francese è “Courir”).
Il racconto di Jean Echenoz si legge con grande fluidità, quasi fosse un romanzo, perchè in poche pagine essenziali, senza troppi dettagli, crea una rappresentazione vibrante ed intensa di Emil Zatopek, uno dei grandissimi interpreti mondiali (e nella storia) del mezzofondo, del fondo e del cosiddetto fondo prolungato. Nella primissima giovinezza in epoca pre-bellica fece le sue prime esperienze di corsa che egli non amava particolarmente ma che cominciò a praticare dietro le pressioni e le suggestioni dei suoi amici, per poi diventarne appassionato, ma quasi sempre in solitaria.
Emil Zatopek fu un corridore senza maestri: fu semplicente maestro di se stesso.
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