di Felice Romano
……
Prima di addormentarmi, a proposito di abitudini condivise, appunto il pettorale sulla cannottiera della Rossini e il mio pensiero va a tutto gli amici e le amiche che stanno facendo quel gesto pronti per l’indomani ad affrontare le proprie sfide.
Con Michelù l’appuntamento era per le 6 al bar della Residenza, al buio e parlando sottovoce facciamo colazione e poi ci incamminiamo verso la metro per raggiungere il Cumpà alla sua fermata. La prima volta dopo cinque maratone corse insieme che il Cumpà non mi accusa di essere troppo in anticipo anzi mi riconosce addirittura il merito di aver deciso l’ora giusta.
Questa croce me la porto addosso ma in fondo è un bravo ragazzo, vale la pena frequentarlo,quindi sopporto sommessamente queste critiche e alla prossima proverò a chiedere di anticipare di qualche minuto solo per farlo un pò arrabbiare.
Da Les Halles ci dirigiamo verso Avenue Foch e sulla metro faccio un pò di cross booking lasciando i miei racconti delle precedenti maratone sui seggiolini.
All’uscita della stazione ci si staglia davanti l’Arc du Triomphe. Azz!! Me lo ricordavo più piccolo! E’ davvero imponente.
Comincio a pensare a quando lo vedrò diritto davanti a me dietro lo striscione dell’arrivo.
Da quando sono salito a Fontenay aux Roses mi scappa la pipì e ora davvero non la reggo più, trovando sconveniente farla sul recinto dell’ambasciata dell’Angola o in un angolo di appartamenti da 20.000 € al metro i miei amici mi consigliano di tenermela fino alla consegna della borsa dove probabilmente avremmo trovato i bagni.
E’ strano perchè non è che abbia bevuto più di quanto bevo prima dei lunghi, il solito litro più un altro mezzo litro mescolato con i sali, ma tant’è mi scappa forte forte!
Faccio davvero tanta fatica ma seguo il consiglio e me la tengo!
Finalmente dopo un altra decina di minuti troviamo una rivisitazione in chiave futurista del nostro italianissimo vespasiano.
Una specie di ogiva di missile con tre cavità dove poter salire e fare pipì e nel frattempo, magari, parlare del più e del meno con gli altri due piscioni di turno.
Per quanto mi riguarda, conquistata la mia cavità ho potuto fare conoscenza con almeno 4 o 5 occasionali compagni di pipì che si sono alternati durante il mio turno.
Dopo aver espletato ci spostiamo verso le gabbie.
Da l’Arc de Triomphe volgendo lo sguardo in direzione Champs Elysee c’è da restar senza fiato. Se davanti alla foto all’Expo sembrava di sentire il brusio delle migliaia di persone, da qui, in mezzo a migliaia di persone sembra di essere nel silenzio più assoluto per quanto emozionante è il colpo d’occhio, enfatizzato dalla leggera pendenza che aumenta la profondità di campo Entriamo nella gabbia dei 4.15, mi scappa di nuovo la pipì ma ormai siamo quasi all’ora di partenza e tra poco ci danno il via!
O almeno così credo che succeda.
Lo sparo di partenza è abbastanza puntuale e cominciamo pian piano a muoversi, pensando, come nelle altre maratone, di avvicinarsi camminando alla linea di partenza e appena varcata cominciare a correre.
Non va proprio così e dopo pochi passi siamo di nuovo fermi.
A sinistra quasi attaccato alla rete delle gabbie vedo un altro vespasiano e visto che siamo fermi propongo un altra sosta.
La promiscuità vissuta prima è quasi normale considerato che eravamo tutti maratoneti zipilli di liquidi e avvezzi a questo genere di spettacolo; qui, con i tifosi – uomini, donne bambini – accalcati alla rete a meno di un metro, per uno come me che a volte se la tiene fino a casa pur di non fermarsi in superstrada è stata davvero una cosa anomala.
Comunque altro prolungato momento sociale e poi finalmente pronto a partire.
Ci muoviamo lentamente.
Dietro di noi, schierati ordinatamente come soldati dell’esercito napoleonico su un campo di battaglia, contenuti da una lunga corda, ci seguono a distanza di un centinaio di metri quelli della gabbia dei 4.30. Dopo quaranta minuti dallo sparo la nostra gabbia raggiunge la linea di start.
Aspettiamo che parta la destra, noi siamo a sinistra – ecchètelodicoaffare – e poi alle 9,24 si inizia a correre. Finalmente!
Corriamo fianco a fianco come a Lucca anche se qui siamo parecchi di più ed è difficile restare vicini, per di più dobbiamo fare attenzione a scansare tutti gli indumenti gettati sul percorso dopo la partenza, le bottigliette d’acqua e le bucce di banana, insomma un vero campo minato. Attraversando Place de la Concorde è impressionante ascoltare il rumore che facciamo correndo, una marcia cadenzata.
Torno indietro con il pensiero a Chieti durante il servizio militare e mi aspetto da un momento all’altro il “PA.A.S..SSO” gridato dal maresciallo.
Questo rumore di sottofondo sarà la colonna sonora che ci accompagnerà per tutta la maratona, sempre presente anche se spesso sovrastato per volume dalle musiche delle numerosissime orchestrine e dalle grida del pubblico copiosamente presente lungo percorso.
Il Virtual Partner è impostato a 5.35, abbiamo perso un pò di tempo in partenza e ce lo abbiamo davanti di un paio di minuti, la formazione è sempre la stessa il Cumpà che fa la lepre, io un metro dietro e Michelù ancora più indietro ma teniamo un ritmo costante.
Per i primi 10 km i palazzi di Rue de Rivoli e quelli della periferia est di Parigi avevano coperto il vento mitigando la temperatura tanto da farmi decidere di togliermi e, sbagliando, buttare in un cestino i calzini a cui avevo tagliato i piedi per usarli come copribraccia. Maledirò quel gesto di lì a poco.
Entrando nel parco del Bois de Vincennes accellero un pochino il passo finchè il Cumpà mi dice di dire a Ludmilla di aspettare che è troppo presto per correre.
Giriamo la mezza un minutino sopra il tempo previsto e manteniamo un buon ritmo, sempre intorno ai 5.30, nonostante il vento, che dal 17esimo dopo aver girato per tornare verso la Bastiglia ha cominciato a farsi freddo e penetrante. Ancora più penetrante sulle braccia nude.
Poco dopo ci perdiamo Michelù, ma ci eravamo già detti che dopo la mezza chi ce n’aveva poteva far gara personale senza pensare agli altri.
Intorno al 23esimo siamo sul Lungo Senna dove era fissato il secondo rendez vous con il nostro fan club.
A veder quanta gente c’era e considerato che il primo rendez vous, quello teoricamente facile con Barbara e i tati Antonelli, non aveva avuto luogo, cominciavo a dubitare che riuscissimo ad incrociarci.
Infatti, nonostante una particolare attenzione nel cercare tra le centinaia di persone assiepate in ogniddove passiamo da Notre Dame senza veder e senza sentire nessuno dei nostri.
Speriamo nel prossimo appuntamento sotto la Tour Eiffel.
Speriamo davvero perchè inizio a sentire il bisogno di un aiutino.
Passando la linea dei 25 km pensai a Stefano e Antonella, mi avevano mandato una foto scattata proprio da sotto quel ponte quindici giorni prima in occasione della loro gita a Parigi.
Avevo dichiarato che sarei stato contento di passare a due ore e trenta.
Ero a due ore e ventidue e con gli argini della Senna che coprivano di nuovo il vento tutto filava liscio.
Risalendo la strada ci troviamo a passare dai sottopassaggi in prossimità dei ponti, dentro il secondo un aria umida, calda e pesante ci avvolge come un coltrone di lana su un letto durante una notte troppo calda per un coltrone di lana. L’escursione termica freddo-caldo-freddo, quest’ultimo soffiato in faccia dal vento, non ci predispone al meglio per affrontare lo sforzo finale per gli ultimi 12 km, ma il Virtual Partner è sempre solo un minuto avanti a noi.
Nei pressi della Tour Eiffel vedo il Cumpà che morde il freno per restar con me, mentre io inizio a sentir la fatica di reggere il suo passo. Mi guardo bene dal dirgli di andare ma spero che lo faccia.
Passiamo nel tunnel dell’Alma senza vedere nè il pilastro scantucciato che nel 2006 lo rese famoso nè nessuno dei nostri.
Al 32esimo il Cumpà prende il suo ritmo lasciando che io tenessi faticosamente il mio.
Rimasto solo prendo iFelix per ascoltare Tony Servillo che mi legge “Hanno tutti ragione” di Sorrentino come aveva fatto durante i miei lunghi solitari, ma anche quest’altro compagno di corsa oggi ha deciso di mollarmi. Non faccio nemmeno in tempo a prenderlo che si spegne per la batteria completamente esaurita (mi renderò solo all’arrivo che questo significa essere completamente ISOLATO dal resto del gruppo).
Con il Cumpà in fuga, iFelix fuori uso e il terzo rendez vous saltato – anche se mi resta ancora l’ultima possibilità di vedere Dany e i miei tati all’arrivo – mi sono ormai rassegnato a correre gli ultimi sette km nella proverbiale solitudine del maratoneta.
Appena entrato nel Bois de Boulogne, con gli alberi, le staccionate e l’ippodromo che ricordano troppo San Rossore vengo raggiunto dalla mia Ludmilla che adesso, più che andar forte per far le quattr’ore, spero riuscirà a portarmi al traguardo senza fermarmi.
Il parco di Boulogne sembra infinito! Quattro curvone e i restringimenti della strada con la pancia del serpentone sempre parecchio affollata rendono ancora più faticosa la rincorsa al Virtual Partner che si allontana sempre di più.
Gli ultimi km sono proprio un calvario, 7.30, 6.22, 6.16, 6.26, 6.26 al ristoro del quarantesimo mi rifocillo ben bene, cammino per un pochino e il quarantunesimo lo faccio in 8.06, il quarantaduesimo in 6.50
Uscito dal parco di Boulogne giungo alla rotatoria di Porte Dauphine, il Garmin che segna 42.150, sono stremato al punto che Ludmilla mi sembra di portarmela a spalle, con i bordi delle strade gremitissime, tantissimi corridori per strada – sembra di essere alla partenza di Trieste – la stanchezza, l’ebrezza per la consapevolezza di finire anche questa non riesco a capire quanto manca all’arrivo e per non sbagliare comincio ad esultare scaricando un pò di tensione. Un altro centinaio di metri e vedo l’Arc du Triomphe esattamente come me l’ero immaginato all’uscita della metro.
Davanti a me dietro il traguardo.
Chi l’ha messo lassù per festeggiar vittorie sapeva il fatto suo e, dopo aver tagliato il traguardo e fermato il cronometro a 4.13.48, assaporo a pieno il gusto della mia contemplandolo da lontano.
L’emozione di tagliare il traguardo di una maratona è sempre unica.
Si finalizzano in quel momento tutti gli sforzi fatti nei mesi di duro allenamento.
I sacrifici, la fatica, la dedizione acquisiscono un senso così come l’aver portato il fisico oltre il limite acquisisce un valore assoluto e oggettivo di cui nessuno ci può privare.
Eppure per quanto scenograficamente unico questo arrivo non mi ha trasmesso le vibranti sensazioni degli ultimi 3 dove la mia famiglia aveva sempre assistito e gli ultimi due addirittura tagliato il traguardo con me.
…….
chi s’appassiona e gradisce leggere la versione integrale non ha che da chiedermelo 🙂
Prima di addormentarmi, a proposito di abitudini condivise, appunto il pettorale sulla cannottiera della Rossini e il mio pensiero va a tutto gli amici e le amiche che stanno facendo quel gesto pronti per l’indomani ad affrontare le proprie sfide.
Con Michelù l’appuntamento era per le 6 al bar della Residenza, al buio e parlando sottovoce facciamo colazione e poi ci incamminiamo verso la metro per raggiungere il Cumpà alla sua fermata. La prima volta dopo cinque maratone corse insieme che il Cumpà non mi accusa di essere troppo in anticipo anzi mi riconosce addirittura il merito di aver deciso l’ora giusta.
Questa croce me la porto addosso ma in fondo è un bravo ragazzo, vale la pena frequentarlo,quindi sopporto sommessamente queste critiche e alla prossima proverò a chiedere di anticipare di qualche minuto solo per farlo un pò arrabbiare.
Da Les Halles ci dirigiamo verso Avenue Foch e sulla metro faccio un pò di cross booking lasciando i miei racconti delle precedenti maratone sui seggiolini.
All’uscita della stazione ci si staglia davanti l’Arc du Triomphe. Azz!! Me lo ricordavo più piccolo! E’ davvero imponente.
Comincio a pensare a quando lo vedrò diritto davanti a me dietro lo striscione dell’arrivo.
Da quando sono salito a Fontenay aux Roses mi scappa la pipì e ora davvero non la reggo più, trovando sconveniente farla sul recinto dell’ambasciata dell’Angola o in un angolo di appartamenti da 20.000 € al metro i miei amici mi consigliano di tenermela fino alla consegna della borsa dove probabilmente avremmo trovato i bagni.
E’ strano perchè non è che abbia bevuto più di quanto bevo prima dei lunghi, il solito litro più un altro mezzo litro mescolato con i sali, ma tant’è mi scappa forte forte!
Faccio davvero tanta fatica ma seguo il consiglio e me la tengo!
Finalmente dopo un altra decina di minuti troviamo una rivisitazione in chiave futurista del nostro italianissimo vespasiano.
Una specie di ogiva di missile con tre cavità dove poter salire e fare pipì e nel frattempo, magari, parlare del più e del meno con gli altri due piscioni di turno.
Per quanto mi riguarda, conquistata la mia cavità ho potuto fare conoscenza con almeno 4 o 5 occasionali compagni di pipì che si sono alternati durante il mio turno.
Dopo aver espletato ci spostiamo verso le gabbie.
Da l’Arc de Triomphe volgendo lo sguardo in direzione Champs Elysee c’è da restar senza fiato. Se davanti alla foto all’Expo sembrava di sentire il brusio delle migliaia di persone, da qui, in mezzo a migliaia di persone sembra di essere nel silenzio più assoluto per quanto emozionante è il colpo d’occhio, enfatizzato dalla leggera pendenza che aumenta la profondità di campo Entriamo nella gabbia dei 4.15, mi scappa di nuovo la pipì ma ormai siamo quasi all’ora di partenza e tra poco ci danno il via!
O almeno così credo che succeda.
Lo sparo di partenza è abbastanza puntuale e cominciamo pian piano a muoversi, pensando, come nelle altre maratone, di avvicinarsi camminando alla linea di partenza e appena varcata cominciare a correre.
Non va proprio così e dopo pochi passi siamo di nuovo fermi.
A sinistra quasi attaccato alla rete delle gabbie vedo un altro vespasiano e visto che siamo fermi propongo un altra sosta.
La promiscuità vissuta prima è quasi normale considerato che eravamo tutti maratoneti zipilli di liquidi e avvezzi a questo genere di spettacolo; qui, con i tifosi – uomini, donne bambini – accalcati alla rete a meno di un metro, per uno come me che a volte se la tiene fino a casa pur di non fermarsi in superstrada è stata davvero una cosa anomala.
Comunque altro prolungato momento sociale e poi finalmente pronto a partire.
Ci muoviamo lentamente.
Dietro di noi, schierati ordinatamente come soldati dell’esercito napoleonico su un campo di battaglia, contenuti da una lunga corda, ci seguono a distanza di un centinaio di metri quelli della gabbia dei 4.30. Dopo quaranta minuti dallo sparo la nostra gabbia raggiunge la linea di start.
Aspettiamo che parta la destra, noi siamo a sinistra – ecchètelodicoaffare – e poi alle 9,24 si inizia a correre. Finalmente!
Corriamo fianco a fianco come a Lucca anche se qui siamo parecchi di più ed è difficile restare vicini, per di più dobbiamo fare attenzione a scansare tutti gli indumenti gettati sul percorso dopo la partenza, le bottigliette d’acqua e le bucce di banana, insomma un vero campo minato. Attraversando Place de la Concorde è impressionante ascoltare il rumore che facciamo correndo, una marcia cadenzata.
Torno indietro con il pensiero a Chieti durante il servizio militare e mi aspetto da un momento all’altro il “PA.A.S..SSO” gridato dal maresciallo.
Questo rumore di sottofondo sarà la colonna sonora che ci accompagnerà per tutta la maratona, sempre presente anche se spesso sovrastato per volume dalle musiche delle numerosissime orchestrine e dalle grida del pubblico copiosamente presente lungo percorso.
Il Virtual Partner è impostato a 5.35, abbiamo perso un pò di tempo in partenza e ce lo abbiamo davanti di un paio di minuti, la formazione è sempre la stessa il Cumpà che fa la lepre, io un metro dietro e Michelù ancora più indietro ma teniamo un ritmo costante.
Per i primi 10 km i palazzi di Rue de Rivoli e quelli della periferia est di Parigi avevano coperto il vento mitigando la temperatura tanto da farmi decidere di togliermi e, sbagliando, buttare in un cestino i calzini a cui avevo tagliato i piedi per usarli come copribraccia. Maledirò quel gesto di lì a poco.
Entrando nel parco del Bois de Vincennes accellero un pochino il passo finchè il Cumpà mi dice di dire a Ludmilla di aspettare che è troppo presto per correre.
Giriamo la mezza un minutino sopra il tempo previsto e manteniamo un buon ritmo, sempre intorno ai 5.30, nonostante il vento, che dal 17esimo dopo aver girato per tornare verso la Bastiglia ha cominciato a farsi freddo e penetrante. Ancora più penetrante sulle braccia nude.
Poco dopo ci perdiamo Michelù, ma ci eravamo già detti che dopo la mezza chi ce n’aveva poteva far gara personale senza pensare agli altri.
Intorno al 23esimo siamo sul Lungo Senna dove era fissato il secondo rendez vous con il nostro fan club.
A veder quanta gente c’era e considerato che il primo rendez vous, quello teoricamente facile con Barbara e i tati Antonelli, non aveva avuto luogo, cominciavo a dubitare che riuscissimo ad incrociarci.
Infatti, nonostante una particolare attenzione nel cercare tra le centinaia di persone assiepate in ogniddove passiamo da Notre Dame senza veder e senza sentire nessuno dei nostri.
Speriamo nel prossimo appuntamento sotto la Tour Eiffel.
Speriamo davvero perchè inizio a sentire il bisogno di un aiutino.
Passando la linea dei 25 km pensai a Stefano e Antonella, mi avevano mandato una foto scattata proprio da sotto quel ponte quindici giorni prima in occasione della loro gita a Parigi.
Avevo dichiarato che sarei stato contento di passare a due ore e trenta.
Ero a due ore e ventidue e con gli argini della Senna che coprivano di nuovo il vento tutto filava liscio.
Risalendo la strada ci troviamo a passare dai sottopassaggi in prossimità dei ponti, dentro il secondo un aria umida, calda e pesante ci avvolge come un coltrone di lana su un letto durante una notte troppo calda per un coltrone di lana. L’escursione termica freddo-caldo-freddo, quest’ultimo soffiato in faccia dal vento, non ci predispone al meglio per affrontare lo sforzo finale per gli ultimi 12 km, ma il Virtual Partner è sempre solo un minuto avanti a noi.
Nei pressi della Tour Eiffel vedo il Cumpà che morde il freno per restar con me, mentre io inizio a sentir la fatica di reggere il suo passo. Mi guardo bene dal dirgli di andare ma spero che lo faccia.
Passiamo nel tunnel dell’Alma senza vedere nè il pilastro scantucciato che nel 2006 lo rese famoso nè nessuno dei nostri.
Al 32esimo il Cumpà prende il suo ritmo lasciando che io tenessi faticosamente il mio.
Rimasto solo prendo iFelix per ascoltare Tony Servillo che mi legge “Hanno tutti ragione” di Sorrentino come aveva fatto durante i miei lunghi solitari, ma anche quest’altro compagno di corsa oggi ha deciso di mollarmi. Non faccio nemmeno in tempo a prenderlo che si spegne per la batteria completamente esaurita (mi renderò solo all’arrivo che questo significa essere completamente ISOLATO dal resto del gruppo).
Con il Cumpà in fuga, iFelix fuori uso e il terzo rendez vous saltato – anche se mi resta ancora l’ultima possibilità di vedere Dany e i miei tati all’arrivo – mi sono ormai rassegnato a correre gli ultimi sette km nella proverbiale solitudine del maratoneta.
Appena entrato nel Bois de Boulogne, con gli alberi, le staccionate e l’ippodromo che ricordano troppo San Rossore vengo raggiunto dalla mia Ludmilla che adesso, più che andar forte per far le quattr’ore, spero riuscirà a portarmi al traguardo senza fermarmi.
Il parco di Boulogne sembra infinito! Quattro curvone e i restringimenti della strada con la pancia del serpentone sempre parecchio affollata rendono ancora più faticosa la rincorsa al Virtual Partner che si allontana sempre di più.
Gli ultimi km sono proprio un calvario, 7.30, 6.22, 6.16, 6.26, 6.26 al ristoro del quarantesimo mi rifocillo ben bene, cammino per un pochino e il quarantunesimo lo faccio in 8.06, il quarantaduesimo in 6.50
Uscito dal parco di Boulogne giungo alla rotatoria di Porte Dauphine, il Garmin che segna 42.150, sono stremato al punto che Ludmilla mi sembra di portarmela a spalle, con i bordi delle strade gremitissime, tantissimi corridori per strada – sembra di essere alla partenza di Trieste – la stanchezza, l’ebrezza per la consapevolezza di finire anche questa non riesco a capire quanto manca all’arrivo e per non sbagliare comincio ad esultare scaricando un pò di tensione. Un altro centinaio di metri e vedo l’Arc du Triomphe esattamente come me l’ero immaginato all’uscita della metro.
Davanti a me dietro il traguardo.
Chi l’ha messo lassù per festeggiar vittorie sapeva il fatto suo e, dopo aver tagliato il traguardo e fermato il cronometro a 4.13.48, assaporo a pieno il gusto della mia contemplandolo da lontano.
L’emozione di tagliare il traguardo di una maratona è sempre unica.
Si finalizzano in quel momento tutti gli sforzi fatti nei mesi di duro allenamento.
I sacrifici, la fatica, la dedizione acquisiscono un senso così come l’aver portato il fisico oltre il limite acquisisce un valore assoluto e oggettivo di cui nessuno ci può privare.
Eppure per quanto scenograficamente unico questo arrivo non mi ha trasmesso le vibranti sensazioni degli ultimi 3 dove la mia famiglia aveva sempre assistito e gli ultimi due addirittura tagliato il traguardo con me.
…….
chi s’appassiona e gradisce leggere la versione integrale non ha che da chiedermelo 🙂